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Aprile 21, 2020
Business

Coronavirus e Smart Working: cosa fare?

Smart Working lavorare in casa

Il Coronavirus ha evidenziato il potenziale dello smart working per le piccole, medie e grandi aziende.

Non avremmo mai pensato di vivere una situazione come l’attuale epidemia COVID-19, un ceppo di Coronavirus che non ha confini e si diffonde rapidamente producendo disagio e incertezza sul presente. Questa malattia si è ritenuta abbastanza grave da limitare le nostre libertà, costringendoci a ripensare la nostra vita sociale, a riorganizzare le attività lavorative e a cambiare temporaneamente le nostre abitudini quotidiane. E non avremmo mai immaginato che la diffusione di un virus avrebbe dato una così forte accelerazione verso l’adozione dello Smart Working.

Si tratta quindi di Smart Working “forzato”?

Stiamo assistendo ad una transizione forzata a questo modello, o meglio a un “lavoro a distanza” (soprattutto da casa) senza alcuna preparazione preliminare, senza una fase preliminare di test o di adattamento.

 

La resistenza allo smart working prima dell’emergenza

Molti imprenditori negli anni passati hanno mostrato una mancanza di interesse verso questo cambiamento, sia le grandi che le piccole imprese, scegliendo di non adattarsi ai tempi che cambiano.
Oggi, con la crisi attuale, la situazione ha dovuto cambiare per necessità, coloro che prima non aderivano a questo modello si sono trovati a valutarlo come una possibilità concreta di vivere l’emergenza attuale.

Questa epidemia non ha causato tanto scompiglio nelle grandi aziende che hanno già adottato lo Smart Working, organizzando in modo flessibile il loro flusso di lavoro e dotandosi dei dispositivi necessari per garantire che i loro dipendenti possano lavorare indipendentemente dalla loro posizione in molti casi.
L’economia globale richiede una grande flessibilità nella comunicazione con le aziende con sede in paesi lontani e con fusi orari diversi.

Smart Working coronavirus

Lavorare in modo intelligente oltre l’emergenza

In questi giorni abbiamo letto molti articoli sul tema dello smart working “forzato” come quello apparso su Il Sole 24 Ore, il 2 marzo dal titolo: “Lo Smart working oltre l’emergenza: una sfida per le SME”.
Si discute di come lo Smart Working sia non solo una formula collaudata per combattere l’attuale emergenza COVID-19 ma anche “un modo di portare avanti il tema dell’occupazione che è sempre più diffuso: in Italia, secondo l’Osservatorio della Scuola di Management del Politecnico di Milano, nel 2019, 570mila lavoratori hanno beneficiato di un lavoro agile, con un incremento del 20% rispetto all’anno precedente”.

Passiamo ora a discutere di altri dati raccolti dall’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano: “La situazione è molto polarizzata: ci sono 58 grandi aziende su 100 che già applicano forme di lavoro agile. Il 7% sta attivando iniziative informali e un 5% ha in programma di farlo entro i prossimi 12 mesi. Il quadro è invertito e analizziamo i dati relativi alle piccole e medie imprese: solo il 12% di esse ha progetti in corso. Infine, più della metà delle aziende senza progetti di Smart Working si dichiara totalmente disinteressata alla realizzazione del lavoro agile (51%)”.

Tuttavia, l’adozione generalizzata di lavori agili che riguardano le piccole imprese e la Pubblica Amministrazione rappresenta una vera e propria sfida. “I progetti di Smart Working strutturato nella PA sono nel 16% delle aziende, ma il tasso di persone altruiste è molto limitato (7%)”.

La tecnologia è diventata una necessità primaria per le aziende

Il problema però, è incentrato sulla tecnologia. La tecnologia è la chiave che permette ai dipendenti di lavorare a distanza, ci fornisce la più grande raccolta di informazioni a portata di mano, aiuta nello sviluppo di Smart-Cities e nell’integrazione dell’Internet in un ambiente di lavoro.

La tecnologia ci ha portato molto lontano nell’attuale millennio, ma abbiamo ancora un modo per progredire per raggiungere un obiettivo di auto-autonomia. Il divario tra coloro che hanno accesso a Internet e coloro che non lo hanno, dimostra quanto sia un vantaggio cruciale avere accesso a un tale strumento di sviluppo nella nostra società digitale, con danni socio-economici e culturali che colpiscono coloro che non hanno tali comodità durante questo periodo unico.

Forse, a causa di questa crisi, ci siamo resi conto che non siamo pienamente preparati e strutturati in modo da utilizzare correttamente il Smart Working, ma ne comprendiamo l’utilità e le infinite possibilità che offre, tra tutte, quella di non essere esclusi e di continuare a far parte della comunità.

Smart Working frontiera del lavoro

Smart Working, disciplina e decreto

Lo smart working è disciplinato dalla legge 81/2017 che dichiara: “Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.”
La sua applicazione è legata al decreto che in questi giorni obbliga i dipendenti della Pubblica Amministrazione a lavorare in Smart Working, incoraggiando anche le aziende private a farlo.

Ma ci si può chiedere: come sono pianificate queste attività? A quali attrezzature hanno accesso i lavoratori; hanno a disposizione postazioni di lavoro a domicilio, scrivanie, sedili ergonomici, attrezzature informatiche e dispositivi digitali? Sono conformi alle regole e alle normative sul benessere a cui le piccole, medie e grandi aziende sono costantemente sottoposte all’interno delle loro sedi?
Al momento non abbiamo la risposta a queste domande, ma sappiamo che in questi giorni saremo noi a scrivere le linee guida su come implementare al meglio questo metodo di lavoro nei prossimi anni, dopo aver dato un’occhiata a ciò che ha funzionato e ciò che non ha funzionato, analizzando come migliorare.

 

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Riccardo de Bernardinis è nato a Roma nel 1994, ha frequentato molti corsi in città americane tra Miami, Boston, Los Angeles e San Diego. La sua passione per la cultura americana lo ha portato ad iscriversi alla John Cabot, la prima università americana in Italia. Nel 2016 ha lanciato Ernesto.it, una delle principali piattaforme web e Apps nel mercato italiano dei servizi per la casa. Dopo un anno, ha chiuso il primo Round d' investimento con uno dei più importanti imprenditori sudamericani. Nei primi anni di lancio Ernesto è stato selezionato per i più prestigiosi programmi di accelerazione startup dove Riccardo de Bernardinis ha frequentato personalmente incontrando mentor e investitori da ogni parte del mondo. Tra questi, ha frequentato per 3 mesi Plug N Play Tech Center (Cupertino, Silicon Valley), B-Heroes (Milano), Tech Italia Lab (Londra) e Build it Up (Italia). Riccardo ha inoltre fondato Buytron, una prestigiosa software house specializzata in Apps, AI, Piattaforme Web, Branding e servizi digitali. La sua missione è innovare, trasformando l'analogico in digitale.

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